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Attività - Targa Jean Giono - Alberto Arbasino (2018)

Alberto Arbasino

La Targa del 2018 è stata assegnata a Alberto Arbasno. “Alberto Arbasino, nato a nel 1930 a Voghera, è uno dei maggiori, più rappresentativi, e più internazionali scrittori del secondo Novecento italiano.

In un’intervista uscita sull’”Espresso” anni fa, per festeggiare i suoi 80 anni, al giornalista che gli chiedeva che ne pensasse del fatto che un famoso critico (Angelo Guglielmi) lo riteneva «il più grande scrittore italiano vivente», Arbasino rispose auto-ironizzando: "Il più grande non so. Uno dei più vecchi sicuramente".

E alla maliziosa domanda successiva, (le sue reazioni alle parole di Guglielmi che diceva di lui “può essere molto antipatico”), Arbasino confermava con analogo humour: "È vero. Con chi mi rompe le palle sono antipaticissimo".

Ironia e autoironia sono proprio tratti connotanti del nostro scrittore, che ama ridere, o sorridere, di tutto, anche di sé stesso.

Vivacissimo, brillante, molto colto, Arbasino è uno scrittore a tutto raggio. È stato sempre un narratore di tipo sperimentale, attratto dalle forme nuove, di genere brillante, giocoso più che drammatico e sentimentale. Ha sempre preferito nascondere sensibilità, malinconie, angosce dietro ironia e sberleffi. Ha sempre respinto intimità, psicologia, introspezione, sentimentalismo con l’arma del riso e della satira. Almeno per un tratto come narratore fu molto vicino, per questa sua inclinazione trasgressiva, ai gruppi delle avanguardie degli anni sessanta. Ma oltre che narratore è ed è sempre stato anche un acuto saggista, e inoltre uno spiritoso giornalista di costume su vari periodici e quotidiani, un opinionista, come si dice oggi, un critico teatrale sofisticato, un esperto finissimo di melodramma e più in generale di musica, e pure di arte, un infaticabile viaggiatore  e uno scrittore di viaggio.

Difficile insomma darne una definizione univoca perché Arbasino è un intellettuale sempre curioso, mobile, e aperto alle più varie esperienze culturali: legato alla tradizione e insieme innovativo ed eversivo, colto ma anche incuriosito da ogni forma di cultura leggera, di consumo, e popolare (canzoni, fumetti, leggende pop); serio e tenace nel suo impegno di scrittura, ma anche scanzonato e irridente.

Del resto, la sua “narrazione” stessa è di un tipo del tutto particolare: la storia narrata si ramifica e si sfrangia in continue divagazioni, e vi domina un ricorso sfrenato e irresistibile a citazioni, con riferimento ai testi più svariati, nobili e modesti, di alta cultura e di modesto taglio. Le citazioni, occulte e/o scoperte, e il gusto umoristico e della parodia sembrano sostituire l'intreccio o le vicende dei romanzi tradizionali, polverizzati e disgregati, ridotti in frammenti.

Con queste ricette appunto di polverizzazione e disgregazione sono costruiti infatti i suoi “romanzi” maggiori: il capolavoro Fratelli d'Italia, 1963, poi 1976 e infine 1993, ogni volta riscritto e incrementato, sempre per riuscire al meglio il ritratto du un’epoca e di una società: la Roma intellettual-altoborghese-aristocratica degli anni cinquanta. Ma così è costruito anche il romanzo-performance Super-Eliogabalo, che esce nel ’69 e poi, riscritto, nel ’78, e ancora riscritto nel 2001. Super-Eliogabalo tra l’altro è pure una riscrittura di una celebre opera di Artaud, a sua volta “riscrittura” delle fonti storiche esistenti su un imperatore romano scatenatamente folle e morboso.

E allo stesso modo è ibrido, centrifugo, e destrutturato ogni libro di Arbasino, di narrazione e di saggismo che sia. Narrazione e saggismo si intrecciano tra loro in Arbasino, perché ogni suo romanzo è anche un saggio, e ogni suo saggio diventa anche una narrazione, e le varie discipline si incrociano e si intersecano.

Ogni libro di Arbasino (che ha scritto molto, nella sua lunga e laboriosa carriera, sempre con grande energia e brio, con eleganza e pazienza) presenta la stessa peculiare tecnica di cui si diceva, ed è un universo gremito di battute e di chiacchiere, di giochi intertestuali e linguistici, di frammenti di conversazioni: perciò Arbasino definì efficacemente tutte le sue opere, inclusi i saggi, “romanzi-conversazione”. Possiamo dire per tentare di spiegarci meglio: le sue sono opere gremite di chiacchiere-mondo e di conversazioni-mondo, cioè di vortici di parole e frammenti di conversazioni sapientemente allestiti, e attraverso questi frammenti chi scrive esprime e rappresenta una classe (perlopiù aristocratica e alto-borghese), una società e un’epoca.

Altra caratteristica singolare: ogni libro di Arbasino è stato perlopiù riscritto e non una sola volta, alla ricerca continua, nevroticamente perfezionista, di risultati sempre più efficaci e soddisfacenti, ma sempre tendenzialmente instabili, poiché la riscrittura appare provvisoria e dunque tendenzialmente infinita.

Così accade non solo per Fratelli d’Italia, ma anche per L'Anonimo lombardo, per La bella di Lodi, per Super-Eliogabalo. E, tra i saggi, ricordiamo almeno le riscritture anche radicali di Certi romanzi.

Perciò parliamo di un talento brillante ma anche paziente e tenace, di un grande artista che è anche un sapiente artigiano, di un ostinato e orgoglioso perfezionista. Che sembra anche, riflettendoci più in profondità, mettere a tacere i fantasmi e i turbamenti della mente con l’ironia e con la ricerca infinita della perfezione.”

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